Oggi vogliamo raccontarvi una storia, tornando indietro di alcuni anni e immaginando di essere ancora nella Gragnano del XIII secolo, quando vennero costruiti alcuni mulini. Questi sorsero lungo la cosiddetta ‘’Valle dei Mulini’’, una mulattiera che da Castellammare di Stabia arrivava fino alla ‘’Valle dei Mulini e delle Ferriere di Amalfi’’. Il contatto geografico tra Amalfi e Gragnano garantì anche un contatto commerciale attraverso il mare, da cui arrivava il grano e dal quale partiva una redditizia esportazione del prodotto finito. Il torrente Vernotico è la fonte per i vari mulini sparsi nella valle. Questi ultimi hanno tutti pozzi esterni per raccogliere l’acqua, ma anche paratìe per deviare quella in sovrabbondanza, così come gli scarichi che tramite piccoli ponti provvisti di canali, riciclavano l’acqua trasferendola ai mulini sottostanti. Poiché l’acqua è stata la prima grande risorsa di Gragnano, vi era una particolare attenzione a non sprecarla. La proprietà dei mulini, così come quella dell’acqua, era concessa dai vari re ai loro feudatari, i quali la concedevano ai sottoposti, ai vari monasteri e alla popolazione per uso pubblico. Fino al XIX secolo i trenta mulini costruiti, in piena attività, simboleggiavano la principale fonte di economia del paese, riuscendo così a soddisfare le richieste della città di Napoli e delle città adiacenti. In seguito, a causa della tassa sul macinato, stabilita nel 1869, ci fu una diminuzione nell’attività molitoria gragnanese, fino alla totale estinzione nei primi del Novecento con l’avvento dell’industria della pasta.
I mulini di Gragnano, costruiti in tufo e in pietra, avevano una cupola a botte e due ali laterali per raccogliere le acque piovane da riutilizzare per gli animali. L’acqua veniva accumulata in una torre, dove la pressione e l’energia cinetica permettevano di far muovere la macina. Il grano veniva poi macinato da due ruote in pietra e la farina ottenuta cadeva direttamente nei sacchi. I mulini hanno rappresentato nei secoli bui del medioevo un elemento di innovazione tecnologica, erano impianti semplici ma perfetti che sostituivano l’uomo nell’esecuzione del lavoro e producevano ricchezza con minima spesa, ma richiedevano un’arte che si tramandava di padre in figlio. Erano macchine economiche ed ecologiche; infatti l’acqua, dopo aver dato moto alle macchine, torna al canale integra e pura.
Il mulino era un ambiente suggestivo e misterioso: con il soffitto basso, avvolto nella penombra, con il rumore sordo delle macine, le tramogge, i cassoni di legno ed il profumo intenso della farina e la bianca figura del mugnaio.
Un mondo straordinario, un microcosmo affascinante con tanti personaggi che si affaccendavano: il mugnaio, i garzoni, i barrocciai, i facchini, ed i clienti che venivano a macinare le loro granaglie. Il mulino diventava così un luogo di ritrovo e svolgeva una funzione importante: creare contatti umani tra le popolazioni rurali che vivevano quasi in totale isolamento. Infatti, al mulino confluivano le strade, si ascoltavano storie e leggende, si ricevevano notizie.
Fare rivivere significa non solo riavviare i vecchi meccanismi, la ruota ad acqua, la turbina, le macine, ma ricostruire un mondo ormai scomparso e ritrovare quel patrimonio di valori umani, storici e culturali che deve essere assolutamente salvaguardato.
BVNDOS
Classe 5DL 2018/19