Il carciofo di Castellammare è un sottotipo della varietà Romanesco, da cui si differenzia per l’epoca di produzione anticipata e il colore delle brattee, verdi con sfumature viola. La precocità è data dalla particolare mitezza del clima e dall’abitudine di rigenerare le piante ogni anno. All’epoca della ripresa vegetativa vengono scelti i migliori carducci, i germogli erbacei laterali che spuntano tutt’intorno alle piante madri, prelevati insieme a piccole porzioni di rizoma e trapiantati a dimora.
La sua origine affonda le radici nell’epoca romana: una frazione di Castellammare di Stabia, Schito, era considerata al tempo particolarmente vocata all’orticoltura. Prova ne è che la zona, non lontana da Pompei, era identificata con il toponimo “orti di Schito”.
Un’altra particolarità è data dall’antica tecnica colturale, tradizionalmente associata a tale varietà. Era uso, infatti, coprire la prima infiorescenza apicale (mamma o mammolella) con coppette di terracotta (pignatte o pignattelle) realizzate a mano da artigiani locali. La protezione dai raggi del sole, assicurata dalla pignatta nella fase di accrescimento del carciofo, lo rende particolarmente tenero e chiaro.
Il carciofo è un ingrediente dalla grande versatilità, impiegato in diverse preparazioni, dall’antipasto al secondo. Ha un legame forte con la tradizione della Pasqua, che normalmente coincide con il periodo centrale della produzione. In particolare, il carciofo arrostito nella brace è il piatto simbolo del lunedì di Pasquetta. Si usa il carciofo intero, posto direttamente nella brace di un barbecue. Quando è cotto (dopo circa mezz’ora) viene ripulito delle foglie bruciacchiate, condito con sale, pepe, prezzemolo, aglietto fresco e un filo di olio e consumato in abbinamento agli insaccati della tradizione contadina (in particolare dei Monti Lattari): salame e soppressata. Una delle parti migliori dei carciofi però, resta il gambo, o’turzo, particolarmente dolce e tenero. I turzilli, così chiamati vengono considerati oggi quasi da scartare, mentre un tempo, venivano utilizzati per preparare piatti squisiti come l’insalata di turzilli, o venivano fritti o addirittura ci si faceva il risotto. Il carciofo di Schito è presidio slow food da due anni.
TRATTO DA: fondazione slow food.
CARCIOFINI ALLA CONTADINA
INGREDIENTI
- 1 kg di carciofini
- 1 limone
- 4 rametti di prezzemolo
- 1 spicchio di aglio
- 4 foglie di salvia
- 200 ml di Brodo vegetale
- 2 cucchiai di olio extravergine di oliva
- Sale fino
- Pepe nero macinato al momento
- Origano
PREPARAZIONE
- Lavare i carciofini, togliere le foglie dure più esterne fino ad ottenere i cuori formati solo da foglie chiare e tenere, tagliare le punte. Tagliarli a metà, quindi nuovamente a metà e metterli in acqua acidulata con il limone.
- Lavare il prezzemolo, selezionarne le foglie e tritarlo con la mezzaluna su un tagliere assieme all’aglio spellato.
- Lavare la salvia.
- Scaldare il brodo.
- In una padella mettere l’olio, il trito di aglio e prezzemolo e accendere la fiamma.
- Far soffriggere il trito qualche istante, molto dolcemente perchè l’aglio non deve bruciare.
- Unire i carciofini ben scolati e farli saltare a fuoco vivo per un paio di minuti.
- Aggiungere il brodo, un pizzico di sale, una macinata di pepe, un pizzico di origano, le foglie di salvia e lasciar proseguire la cottura per 15 minuti circa a fiamma bassa, coperto. Se il fondo di cottura dovesse asciugarsi troppo aggiungere altro brodo vegetale.
- Trascorso il tempo indicato scoperchiare, alzare la fiamma, far asciugare il fondo di cottura e regolare di sale.
- Gustarli tiepidi.
JAYO
Classe 5DL anno 2018/19